THE MASTER – LA RECENSIONE ★★★★★

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THE MASTER(PIECE)

Raccontare le scene migliori di The Master significherebbe descriverne ogni suo singolo fotogramma |

the-master-poster1The Master è sostanzialmente l’estratto di vita di due uomini vissuti negli anni che seguirono la fine della Seconda Guerra Mondiale. Il primo è il “master” Lancaster Dodd (Hoffman), un filosofo teoretico che cerca di incanalare il proprio smarrimento in una dottrina con cui aiuta le persone a liberarsi dei propri fallimenti. Il secondo è Freddie (Phoenix), un marine ubriacone con un passato difficile e molte insicurezze che fa la conoscenza del maestro. Lentamente, i due si avvicinano, fino al momento in cui Freddie, ansioso di conoscere persone che non trovino insopportabile il suo comportamento, sposa la causa (o, meglio, La Causa) del suo mentore, diffondendone gli insegnamenti. Ma la loro fratellanza resisterà nel tempo?

Ci sono buoni motivi per ritenere che The Master di Paul Thomas Anderson manderà k.o. molti spettatori durante la visione. D’altra parte non sono di facile lettura, né tanto meno di immediata fruibilità per lo spettatore, i film del regista de Il Petroliere e Boogie Nights. Che la sua visione del mondo sia prettamente cupa e sconfortante The Master lo ribadisce, rendendo questo film indigesto agli amanti del puro intrattenimento. Aggiungeteci una narrazione che procede a piccoli passi, con tatto ed introspezione (qualcuno parla erroneamente di eccessiva lentezza), ed avrete una vaga idea del motivo per cui molti ne hanno abbandonato la visione. The Master è però un film che se accettato per quello che è (un prodotto molto lontano dai protettivi schemi di successo americani) riserva un’esperienza cinematografica senza pari. Mi sia quindi permesso di dare un consiglio a chi non lo ha ancora visto. Dopo pochi minuti potreste addirittura venire assaliti dalla voglia di interrompere la visione: non fatelo, e non ve ne pentirete. Se volete sapere in cosa The Master è grandioso continuate a leggere.

Impossibile, innanzitutto, parlare del film senza partire dai suoi personaggi. Philip Seymour Hoffman e Joaquin Phoenix hanno alle spalle una filmografia simile, avendo entrambi aderito nel corso delle loro prolifiche carriere ad un Cinema d’impegno (quasi) mai fine ad esigenze commerciali. I loro sono sempre stati personaggi difficili da amare, borderline ed emarginati. Forse per questo, o forse perché semplicemente sono due interpreti immensi, le impressionanti interazioni che si creano tra loro sono la cosa migliore del film: entrambi riescono, con mezzi diversi (Hoffman con un sorriso, Phoenix con uno sguardo), a comunicarci lo smarrimento di due figure tragiche che, pur intraprendendo strade diverse, sembrano destinate alla medesima fine. Durante la prima seduta a cui il Freddie di Phoenix si sottopone, Lancaster gli pone interrogativi universali, i quali definiscono da soli la profondità inconsueta del film di Anderson: si tratta di un lavoro che esplora temi quali il fallimento e l’empietà, ma anche l’importanza di appartenere ad una comunità.

Ad Anderson in effetti non interessa ciò che la setta di Dodd propina: che gli insegnamenti di Lancaster siano solo esercizi linguistici non ha alcuna importanza, e, per sottolineare il punto, il regista si sofferma più sui tormenti e sulle fantasie di Freddie che sui crucci della (sua) comunità. I trattamenti a cui si sottopone (il cui senso saggiamente non ci viene mai spiegato dall’autore) sono soltanto un fallimentare tentativo di ritrovare se stesso dopo una vita di orrori. Per quanto vi sia chi lo pretenda difficilmente troverete accuse in The Master, quanto piuttosto vi verrà trasmesso un sentimento di compassione o pietà capace di toccarvi il cuore. Impossibile non rabbrividire di fronte ad alcune scene, come il lancinante momento finale in cui Lancaster dedica una canzone a Freddie: se ve lo raccontassero potreste trovarlo ridicolo; in realtà ne accettate i contenuti perché ne comprendete l’insensata follia, e la capacità di quest’ultima di ristorare i protagonisti. Il capolavoro di Anderson potrà anche essere arricchito da una tecnica cinematografica sopraffina (il film è stato girato interamente in 70 mm, un formato inusuale rispetto al classico 35), tanto che citarne le scene migliori significherebbe commentarne ogni suo fotogramma, ma fondamentalmente è perché vi identificate con i suoi personaggi che amate questo film, accettando di soffrire con loro.

Il finale del film si muove astutamente su binari di difficile decifrazione, con Phoenix che, tra le braccia di una nuova amante, rimane sospeso tra amarezza, derisione per ciò che è stato e dolore per ciò che ha perso. Infelicità. Se credete che i personaggi di Magnolia siano i più soli di questo mondo, forse non avete mai visto questo film.

Verdetto:

Classico ed elegante, doloroso e intenso, The Master non è un colpo d’ariete a Scientology o a religione alcuna, quanto piuttosto un raffinato studio sul cuore triste degli uomini.

E a voi è piaciuto il film? Aggiungete un commento!

5 risposte a “THE MASTER – LA RECENSIONE ★★★★★

  1. Questo film l’ho semplicemente odiato. Uno dei più brutti che abbia mai scritto.
    Nella recensione che scrissi tempo fa (la trovi sul blog) esordii così:
    Immaginate di essere l’insegnante di una prestigiosa scuola di cinema e di dover spiegare ai vostri alunni che cosa un film non dovrebbe MAI fare: potreste snocciolare un elenco di accorgimenti, enunciare delle regole, fornire degli esempi, indicare dei capisaldi. Oppure, più semplicemente, potreste far veder loro The Master.

    Metti in conto che il cinema di Anderson proprio non lo digerisco (della mia avversione per il Petroliere già sai), quindi sicuramente è un fatto personale tra me e lui 😀

    • Può darsi, ma anche io non sono un suo ammiratore sfegatato. Magnolia non mi ha lasciato tantissino (ho visto film migliori su “storie parallele che si incrociano”) e Il Petroliere lo stesso…The Master invece lo ho trovato sublime. Ma capisco chi non lo ha apprezzato 😉

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