ROBIN HOOD: LA RECENSIONE ★★☆☆☆

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Il Gladiatore Incappucciato

Opera di ripiego con mille carenze, Robin Hood delude chi considera (compreso chi scrive) Scott uno dei più grandi autori dei nostri giorni |

PosterMemore di cosa avesse significato per la sua corposa e ricca carriera nel cinema mainstream il successo de Il gladiatore, Ridley Scott aveva deciso che il suo film successivo sarebbe stato una rivisitazione della leggenda di Robin Hood che avrebbe adottato la stessa formula del suo pluripremiato kolossal di inizio secolo.

Fin dalle prime scene, viene reso palese come non solo Robin Hood ricalchi le orme seguite dieci anni prima da Massimo Decimo Meridio, ma anzi sembri volerne semplicisticamente traslare il personaggio e il suo interprete nei costumi di un’altra epoca storica. Non a caso Robin ci viene presentato come un fedele soldato lontano da casa (in questo caso in Terra Santa invece che in Gallia, ma la sostanza resta la stessa) che improvvisamente viene rifiutato da coloro che fino a quel momento aveva servito. Non a caso Robin Hood è Russell Crowe, qui alla quinta collaborazione con il regista, un gladiatore con una camicia di forza e un arco al posto di spada e corazza. Tanto simili, i due personaggi, che quasi ci saremmo aspettati un solenne “forza onore!” uscire dalla bocca di Longstride al suo segnale che sancisce l’inizio della battaglia finale, battuta che invece viene sostituita dall’ugualmemte solenne “ribellarsi finchè gli agnelli non diverranno leoni”. In realtà, Robin Hood assume l’aspetto di un prodotto poco ispirato proprio perché lo è: più interessante sarebbe stato il progetto di Scott originario (Nottingham, una storia incentrata sulle avventure di uno sceriffo inglese nel Medioevo) rispetto a quest’opera di ripiego del tutto marginale nella filmografia del regista di Blade Runner.

Il primo duro impatto a cui il film è sottoposto riguarda la fisicità del suo protagonista: ingrassato, impacciato, imbarazzato da un ruolo che poteva essere suo dieci anni fa ma non oggi. Russell Crowe: è lui, stavolta e fin da subito, a rovinare la messa in scena del regista con un’interpretazione che non convince. La controparte femminile del film (almeno quella!) è fortunatamente in mano alla più brava attrice americana della sua generazione. Cate Blanchett è astuta nell’astenersi da un’interpretazione signorile, optando piuttosto per descrivere con maggior realismo una forte e rigida donna di campagna forgiata dalle asprezze della vita bucolica. Ma è una stella in una notte buia: non che si possa criticare il resto del cast, da Mark Strong a Kevin Durand, né la regia di Ridley Scott (splendidi i notturni), ma tutto sembra ridursi al compitino che ripaga soltanto in parte. Visivamente eccezionale, per carità, con le frastagliate coste inglesi a fare da immenso teatro per l’epica (o quasi) battaglia finale. Ma ci sono delle forzature che emergono prepotentemente in Robin Hood, da flashback efficaci ma certamente non necessari alla narrazione fino ad alcune scene sentimentali in maniera ridicola tra Blanchett e Crowe durante la battaglia finale che sono croce di un cinema che quasi ostentiamo a credere sia realmente frutto di questo fuoriclasse della cinepresa. Insomma da Ridley Scott è lecito aspettarsi ben altro. Robin Hood delude infatti chi lo considera (sottoscritto compreso) uno dei più grandi autori dei nostri giorni.

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